di M. D’Orazio, I. Persico, K. Pepe
L’elemento che domina il paesaggio italiano è indubbiamente il “rosso laterizio” delle coperture. Per questo motivo, molti materiali alternativi cercano di imitarle riproducendone colore e fattezze. Tra questi vi sono le tegole in cemento, in merito alle quali un’indagine sperimentale pone alcune questioni in relazione alla durabilità del rivestimento superficiale e quindi alla loro affidabilità estetica.
I centri storici italiani e, più in generale, il paesaggio di molte zone del Paese sono fortemente caratterizzati, in termini di immagine, dal rosso del “cotto” utilizzato per le coperture. Proprio la consapevolezza delle conseguenze che una eventuale sostituzione di tale materiale potrebbe comportare sul paesaggio, ha portato allo sviluppo di regolamentazioni che impongono il mantenimento di determinate tipologie di manto.
Questo tipo di orientamento culturale, il fatto cioè che l’elemento dominante, in termini paesaggistici, sia principalmente il colore rosso, con diverse gradazioni, del manto, ha spinto molte aziende a proporre prodotti alternativi al laterizio. Oggi sono infatti presenti sul mercato numerose tipologie di coppi e tegole apparentemente simili a quelle in “cotto”, ma realizzate con materiali diversi: cemento, leghe metalliche, materiali plastici.
Le tegole in cemento, in particolare, sono quelle che hanno avuto sino ad oggi la maggiore diffusione. Si tratta di prodotti (prevalentemente impiegati in Francia e Germania) realizzati per stampaggio di una miscela costituita da leganti di natura cementizia, inerti e pigmenti.
Mentre nel passato questa particolare tipologia di elementi per copertura manteneva al suo interno la tipica colorazione grigia del cemento e veniva cromaticamente trattata solo in superficie, oggi è quasi sempre colorata anche in pasta. La colorazione superficiale viene ottenuta con ossidi legati con trattamenti termici al substrato o con pigmenti di varia natura connessi con leganti organici al supporto.
Oltre alle tegole in cemento, vengono proposti anche altri prodotti quali le leghe metalliche ed i materiali plastici. Le prime, in realtà, tendono ad imitare solo la forma del manto visto che, a livello di immagine, mantengono comunque un aspetto estetico molto differente dal “cotto”, presentandosi sotto forma di lastre sagomate a imitazione dell’andamento “a onde” del manto. I secondi sono, invece, utilizzati solitamente come complemento per la realizzazione di elementi di raccordo, nelle coperture a falde, di accessori tecnici, quali pannelli solari, fotovoltaici, ecc.
L’effetto immagine e il risultato cromatico vengono ricercati da questi materiali grazie a trattamenti superficiali, spesso di spessori molto modesti (decisamente inferiori al millimetro), aspetto, questo, che pone alcune questioni in merito alla durabilità dei rivestimenti stessi.
Sulla scorta di tali considerazioni, è stata condotta (presso il Dipartimento DACS dell’Università Politecnica delle Marche, Ancona) un’attività sperimentale che ha tentato di ricreare alcune delle possibili sollecitazioni ambientali cui può essere soggetto un manto di copertura. Superando il tradizionale concetto che porta a considerare la durabilità di quest’ultimo solo in termini di resistenza al gelo (che ovviamente non tiene conto delle variazioni cromatiche e/o estetiche dello strato di finitura), si è simulata l’esposizione di materiali di diversa natura (laterizio e cemento) a diverse condizioni atmosferiche in modo da verificare eventuali cambi di aspetto degli stessi. In primo luogo, si è simulato l’effetto di una esposizione ciclica a stress termici, igrometrici ed a raggi UV, utile per valutare l’invecchiamento di eventuali componenti organici presenti (ad esempio, leganti per gli strati di finitura) e la possibile perdita degli ossidi di pigmentazione da questi trattenuti.
Successivamente, si è simulato l’effetto di prove thunder-shower, atte a ricreare lo stress differenziale (in senso meccanico) a cui può essere soggetto un sistema di finitura quando viene esposto a temperature elevate (soleggiamento) e immediatamente raffreddato per l’effetto di una pioggia estiva (prova tipica eseguita su rivestimenti per il recupero di supporti cementizi).
Infine, si è simulato l’effetto di una esposizione ciclica in ambiente umido e ricco di sali (“nebbia salina”) ed a successive essiccazioni (ambiente marino soleggiato) con conseguenti
fenomeni di cristallizzazione.
I risultati evidenziano come alcune delle sollecitazioni cui sono stati sottoposti i materiali indagati siano capaci di alterarne l’aspetto in modo significativo: per alcuni prodotti si sono registrate scoloriture, e opacizzazioni e modifiche nelle prestazioni.
I MATERIALI PROVATI
Rilevata la maggiore diffusione sul mercato dei prodotti a base di cemento, come possibile alternativa al laterizio, si è scelto di limitare il confronto tra le due tipologie alla verifica della durabilità dei sistemi di finitura superficiale utilizzati per tali prodotti. Sulla base di un’attenta analisi della letteratura tecnica, che ha permesso di evidenziare le diverse modalità con cui vengono realizzati gli strati di finitura superiore, si sono selezionati 8 prodotti. I primi 4 sono elementi in laterizio: una tipologia senza alcun trattamento superficiale (posta come confronto), due “anticati” con ingobbio a spruzzo ed uno “anticato” con ingobbio spruzzato e polveri solventi. Il secondo gruppo di 4 prodotti è costituito da tegole in cemento con diverse tipologie (per quanto dichiarato dalle aziende) di trattamenti superficiali.
LA METODOLOGIA ADOTTATA
Generalmente, quando si parla di verifica di durabilità per le tegole (siano esse in cemento o in “cotto”) ci si riferisce alla sola resistenza al gelo. Esiste su questo tema, infatti, una letteratura consolidata e vengono effettuati normalmente dalle aziende continui controlli qualitativi sui prodotti (anche in virtù delle norme per la marcatura CE) volti a verificarne l’idoneità. Meno consolidata è, invece, la letteratura relativa alla durabilità
intesa come “affidabilità estetica” (mantenimento dei caratteri cromatici originari), in particolare dei sistemi di finitura superficiale adottati per le tegole. Esiste, invece, una ricca documentazione specifica su questa caratteristica per i rivestimenti, indipendentemente dal supporto di applicazione, al punto che risultano consolidate le tipologie di prova per invecchiamenti, sia naturali (esposizione al vero) che accelerati. Una rassegna significativa delle diverse metodiche è stata effettuata, tra gli altri, da [Lane, 1998].
Le metodiche di invecchiamento artificiale, ormai collaudate e accettate, per i rivestimenti tendono a ricreare due possibili condizioni (anche combinate tra loro):
• stress ciclico che ripropone, con maggiore velocità e intensità variabile, variazioni di stato (temperatura, umidità relativa, ecc.) che possono avvenire nell’ambiente reale;
• stress non ciclici che hanno lo scopo di fornire il “carico” massimo atteso per il periodo considerato (ad esempio, specifiche componenti della radiazione solare).
Sulla scorta della letteratura esistente, si è scelto di utilizzare, nello svolgimento dell’indagine, una combinazione di questi due metodi.
In particolare, si sono prese a riferimento metodiche di invecchiamento volte a ricreare alcuni possibili shock ambientali:
• thunder-shower;
• cicli termoigrometrici + UV;
• prove in nebbia salina.
Il metodo di prova “thunder-shower” è un metodo di invecchiamento di tipo ciclico che permette di analizzare gli effetti di un improvviso shock termico di raffreddamento a seguito di un condizionamento ad alte temperature. La situazione reale di tale gravosa sollecitazione corrisponde agli intensi ed improvvisi temporali estivi in giornate particolarmente calde ed in luoghi nei quali la radiazione solare sia elevata (ad esempio, nel sud Italia). Il metodo di prova, indicato dalla UNI EN 13687-2: 2003, viene applicato generalmente nella valutazione della resistenza all’adesione al supporto dei sistemi protettivi per opere in cemento armato, ma più in generale laddove sia necessario imporre uno stress termico superficiale. Si è scelto di condurre la prova come indicato dalla UNI EN 13687-2: 2003, con un condizionamento a 60 ± 5°C intervallato da spruzzi di acqua alla temperatura di 12 ± 3°C con una differenza di 48 ± 5°C tra le due situazioni. Il ciclo di prova è stato ripetuto in modo da riprodurre circa 20 anni di esercizio in zone ad elevato irraggiamento.
La seconda tipologia di prova è consistita nell’esposizionedei provini ad un processo di invecchiamento artificiale in un’apparecchiatura dotata di lampade UV e in grado di produrre stress termici (gelo/disgelo) e condensazione [UNI EN ISO 11341: 2005]. La prova, di tipo ciclico, in camera climatica, permette di simulare una porzione piccola, ma distruttiva, dello spettro solare (è trascurata la radiazione nel visibile ennell’infrarosso), senza surriscaldare il provino ad una temperaturanmaggiore di quella dell’aria circostante, simulando condizioni di invecchiamento artificiale e repentino. Si è utilizzata una camera Challenge CH250 Angelantoni (fig. 2) con un ciclo di prova così articolato: 2 h e 33 m (-20 ± 2)°C; 1 h (55 ± 2)°C, 95% RH (umidità relativa); 1 h e 18 m UV, (60 ± 2)°C, 20% RH. Sono stati eseguiti 150 cicli in conformità allo standard europeo della UNI EN 539-2: 2006 (metodo E), anche se esso si riferisce a studi di solo gelo e disgelo.
Si sono create, in particolare, interruzioni ogni 30 cicli per le misure di rilievo.
L’ultima tipologia di prova condotta è stata quella in nebbia salina. Si tratta di una esposizione di provini in una camera (NSS) in cui viene atomizzata una soluzione di cloruro di sodio al 5%
per un tempo di 650 ore circa [UNI EN ISO 9227: 2006]. Sebbene si tratti di una tipologia di prova tipicamente utilizzata per i rivestimenti pittorici su superfici metalliche, è stata scelta in quanto permette, con opportuni accorgimenti, di creare cicli di umidificazione ed essiccazione tali da ottenere l’assorbimento di acqua con sali da parte delle tegole e la successiva evaporazione della stessa con cristallizzazione salina sulla superficie del rivestimento o sotto di essa. I provini sono stati disposti nella camera su supporti metallici con angolazione compresa tra 15° e 25° dalla verticale [UNI EN ISO 9227:2006], in modo da permettere la libera circolazione della nebbia (figg. 3, 4) ed evitare scolature per sovrapposizione.
Alla fine di ogni gruppo di cicli ed al termine delle prove di invecchiamento, si sono condotte valutazioni cromatiche, gravimetriche e di assorbimento d’acqua sui provini testati. Per le variazioni cromatiche, sono state effettuate misure di riflettanza nell’intervallo 360-740 nm (con risoluzione 10 nm) per strumento portatile con configurazione d/8 (la luce diffusa viene ricevuta in direzione 8° dalla verticale), ed elaborate con il software SpectraMagic NX. La calibrazione è stata effettuata su piatto da calibrazione bianco CM-A415; l’apertura di osservazione ha diametro 8 mm (MAV); sono stati acquisiti valori sia a speculare inclusa (SCI) che esclusa (SCE); UV 100%, illuminante D65, osservazione con angolo di 10°.
L’eventuale viraggio cromatico è stato calcolato utilizzando la grandezza ΔE* in accordo con lo spazio colore CIE L*a*b* (L è la luminanza; “a” e “b” sono le coordinate nello spazio colore): La valutazione di ΔE* può essere fatta seguendo la scala proposta dal CIE:
variazione minima – impercettibile
variazione accettabile
variazione non accettabile.
Al fine di rilevare eventuali perdite in peso dei provini per l’intervenire di danni meccanici, gli stessi sono stati pesati ad ogni step su una bilancia avente precisione pari a 0,001 g. Si sono effettuate anche misurazioni alle condizione estreme, campione ciascuna serie di cicli di sollecitazione, avendo cura che, durante il rilievo, temperatura ed umidità
dell’ambiente rimanessero costanti in modo da evidenziare variazioni di massa riferibili solo allo stato igrometrico del campione.
In aggiunta, si è ritenuto, al fine di valutare le modifiche intervenute sullo strato superficiale per quanto riguarda la capacità di assorbimento, di dover effettuare una procedura tipicamente impiegata per la valutazione del comportamento igrometrico della superficie dei materiali lapidei nel restauro (efficacia degli interventi di protezione), consistente nel misurare il tempo necessario ad una goccia di acqua da 6 μl per essere assorbita dal materiale. Si è operato, infine, un confronto dei tempi di assorbimento sui provini alla fine delle 3 prove di invecchiamento.
I RISULTATI
Si ricorda che un ΔE* > 2 significa impercettibilità all’occhio umano ed un ΔE* > 5 significa, invece, il superamento del limite di accettabilità.
Osservando i risultati della prima tipologia di prova, si evidenzia una netta differenza di comportamento tra le tegole in laterizio e quelle in cemento. È evidente come queste ultime, tutte trattate in superficie, subiscano fortemente gli effetti di una esposizione combinata ai raggi UV e a cicli di gelo-disgelo: infatti i ΔE* superano la soglia dell’accettabilità a causa di una evidente modifica della finitura.
Le variazioni maggiori (critiche) interessano, infatti, proprio i prodotti 5, 6 e 7.
Osservando le immagini del campione 6 dopo il trattamento, si evidenzia anche a occhio nudo, a conferma delle rilevazioni strumentali, la differenza tra le zone coperte per esigenze di fissaggio dei campioni (le due righe orizzontali) ed il netto schiarimento ed
una opacizzazione della superficie.
La prova tipo thunder-shower non appare aver prodotto, invece, significative alterazioni cromatiche sulle superfici. I ΔE* rilevati sono tutti modesti e, tranne in un caso (campione n. 1), inferiori alla soglia di visibilità dell’alterazione da parte dell’occhio umano.
Per quanto riguarda le tegole in cemento, ciò presumibilmente è dovuto al fatto che il trattamento superficiale, atto a riprodurre la colorazione del laterizio, riduce la capacità di assorbimento di acqua da parte dei supporti e, pertanto, la prova è stata limitatamente invasiva. Anche per le tegole con ingobbio (in laterizio) si è manifestato lo stesso comportamento.
Tuttavia, questa tipologia di prova ha evidenziato come uno stress termico prodotto da un temporale estivo sia capace di amplificare eventuali difetti superficiali originari presenti sui prodotti testati (ad esempio, inclusioni per impurità), tanto per le tegole in cemento che per gli elementi da copertura in laterizio.
Un aspetto rilevante emerso durante le prove riguarda il fatto che un particolare tipo di tegole in cemento (campione n. 6), oltre a mostrare viraggi cromatici ha manifestato anche una
variazione nella capacità di assorbimento d’acqua. La fig. 8 riporta per il campione 6A la forma di una goccia di acqua dopo 30 secondi dall’applicazione sul supporto, sia su un provino non invecchiato, sia su uno invecchiato. È evidente come la tegola, oltre a presentarsi di colore più chiaro, manifesti anche una significativa riduzione dell’impermeabilità superficiale causata dall’alterazione dello strato di rivestimento superiore.
Sui campioni sui quali si erano manifestate tali problematiche, sono stati condotti test di permeabilità all’acqua, con un battente idrostatico di 100 mm di acqua per 48 ore, come da norma UNI EN 539-1 (si è utilizzato questo riferimento sia per le norma si riferisce, che per le tegole in cemento, non cambiando, tra le norme per tegole in laterizio e in cemento, il principio fisico della misura ma solo le modalità di esecuzione).
CONCLUSIONI
L’insieme delle prove condotte ha evidenziato comportamenti nettamente differenziati tra le varie tipologie di prodotti esaminati. I campioni in laterizio naturale (senza ingobbio) non hanno manifestato alterazioni di nessun tipo, ma solo, come ovvio, viraggi cromatici corrispondenti ai diversi stati di umidificazione durante le prove. Ad essiccamento effettuato, i ΔE* rilevati per queste tipologie di prodotti sono sempre stati, comunque, modesti al punto da non essere rilevabili ad occhio nudo.
Viceversa, i campioni trattati superiormente (ingobbio) e, soprattutto, alcune tipologie di tegole in cemento, dopo aver subito le sollecitazioni ed essere stati riportati nelle condizioni originarie per le misure, hanno manifestato variazioni cromatiche rilevabili anche ad occhio nudo ed in alcuni casi al di sopra della soglia definita di accettabilità. In particolare, nel caso di esposizione in camera a stress termoigrometrico + raggi UV si sono riscontrati danni significativi al rivestimento superiore. Si sono registrati, in particolare, importanti schiarimenti della superficie, opacizzazione della stessa ed anche un cambio di morfologia. Un aspetto secondario corrisposta anche una variazione della capacità di assorbimento superficiale per alcune tipologie di tegole in cemento. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante perché viene fondamentalmente alterato il comportamento del materiale da copertura in presenza di eventi piovosi.
Ne deriva pertanto che, per alcuni prodotti, si pongono ancora problemi relativi alla possibile durata in opera ed alla capacità di mantenere inalterati nel tempo aspetto e prestazioni.